Per il mondo del futuro molti si immaginano uno scenario alla Futurama: macchine volanti, città abitate da uomini e robot con un carattere umano. Tornando nel mondo di oggi, i progressi in fatto di robotica e umanoidi sono stati tanti negli ultimi anni: oltre ai classici robot industriali che prendono e spostano oggetti o montano macchine, si sono affacciati sul mercato esemplari simili all’uomo, dotati di un’intelligenza artificiale tale da interagire con esseri umani.
Se la tecnologia avanza in questo senso, il mondo del lavoro si interroga sul futuro che si prospetta, domandandosi quanti tipi di mansioni “tipicamente “ umane scompariranno.
La domanda diventa lecita anche nel field marketing: le figure come hostess, promoter e merchandiser potrebbero scomparire?
Hostess e promoter vs robot
Hostess androidi esistono già, non possiamo dire lo stesso per i promoter. Le grosse compagnie di automazione e robotica però stanno lavorando su esemplari sempre più “socialmente” evoluti e complessi.
Emiew3: l’hostess che riconosce i clienti
Tra le hostess androidi già lanciate sul mercato vediamo per esempio di Emiew3, un umanoide giapponese pensato per lavorare in negozi, uffici, stazioni o aeroporti. Sviluppato da Hitachi, multinazionale dell’elettronica e della robotica, Emiew3 accoglie e assiste i clienti, fornendo loro tutte le indicazioni di cui hanno bisogno. Ha un udito incredibilmente sensibile che gli consente di captare la voce umana tra i rumori e sa distinguere un cliente dalle altre figure presenti in negozio. Una volta individuato il cliente, lo avvicina autonomamente, senza aspettare che sia lui a farlo, per chiedergli se ha bisogno di assistenza o aiuto nell’orientamento.
Sophia, l’umanoide “sociale”
Se Emiew3 ha ancora un aspetto robotico, la tecnologia ha già sviluppato esemplari sempre più simili all’uomo e con capacità di interazione molto più evolute.
Lo si capisce se si guarda a Sophia Awakens, l’androide con le sembianze di Audrey Hepburn e in grado di sviluppare più di 62 diverse espressioni facciali.
Creata dalla Hansons Robotics, Sophia è progettata con il fine di “parlare con le persone”, di essere cioè un robot sociale. Per questo motivo esteticamente è stata disegnata e costruita con sembianze umane: pelle siliconica, sopracciglia mobili per accompagnare le espressioni, due microcamere installate all’interno degli occhi che le permettono di avere un contatto visivo. Inoltre ha una capacità dialettica elevata, è in grado di ricordare le conversazioni precedenti e ha anche un notevole senso dell’umorismo. Forse è lei il futuro androide dei promoter?
Hostess e promoter “umani” hanno i giorni contati?
Il limite assodato, almeno per il momento, è che questi umanoidi non hanno alcune componenti tipicamente umane e non potranno mai averle.
Un robot non può infatti emozionarsi, creare un pensiero originale, provare empatia, adattarsi ai cambiamenti e al contesto, sviluppare in modo creativo risposte, avere intenzioni e attitudini.
È in dubbio ormai che le emozioni governino gran parte della nostra vita, anche quella che sembra più razionale e logica. Si parla ormai da tempo di intelligenza emotiva, la capacità di comprendere, riconoscere e utilizzare in maniera consapevole le proprie emozioni, in risposta al contesto o alle emozioni altrui.
Questa intelligenza ha una sede corporea, l’amigdala, in grado di registrare emozioni belle e brutte creando così un bagaglio emotivo che ci permette di riconoscere ciò che ci crea piacere e ciò che invece ci dà dolore. Questo bagaglio è anche quello che ci consente di riconoscere le emozioni degli altri, provando empatia o meno.
Come scrive Daniel Goleman in “Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici” «L’empatia si basa sull’autoconsapevolezza; quanto più siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui». Ergo, se non proviamo emozioni e quindi non sappiamo comprenderle, non possiamo capire le emozioni degli altri e instaurare un dialogo empatico.
Se supponiamo allora un contesto di vendita come quello in cui hostess e promoter operano, capiamo quanta attitudine, intenzione, esperienza nel “capire chi ho di fronte e cosa mi sta comunicando” siano necessarie per agganciare il possibile consumatore, quanta intelligenza emotiva sia utile per una comunicazione efficace che crei empatia e un legame qui ed ora con l’interlocutore.
L’interazione tra esseri umani è nella gran parte dei casi un evento spontaneo. Molti dei nostri atteggiamenti e reazioni infatti sono il risultato di esperienze ed emozioni vissute nel tempo. Ovviamente, le dinamiche comunicative possono essere apprese e migliorate ma la base per comprendere il perché di un comportamento piuttosto che un altro è sempre l’autoconsapevolezza.
Tutto questo è una sfida per l’Intelligenza Artificiale. Non è un caso che agli Hiroshi Ishiguro Laboratories sia attivo il progetto Geminoid F il cui fine è studiare la Human Presence durante un discorso o addirittura una recita teatrale. La gestualità di una persona dice molto della personalità, dell’argomento, delle intenzioni del parlante. Una semplice inclinazione della testa, un movimento della mano al momento giusto del discorso aiutano a creare empatia e legame, mantengono vivo il ricordo e danno risalto all’argomento.
Nessuna intelligenza artificiale è ancora in grado di fare tutto ciò in completa autonoma. Infatti, nel progetto Geminoid F gli umonoidi sono comandati a distanza. Per il momento quindi hostess e promoter possono dormire sonni tranquilli.
Merchandiser vs robot
C’è un paradosso non ancora superato per la robotica: sembra che azioni estremamente semplici per noi umani che coinvolgono percezione e mobilità siano molto complesse per i robot di oggi.
Amazon per esempio preferisce assumere nei propri magazzini uomini piuttosto che affidarsi in toto alla robotica. Se da un alto i robot sono veloci, essi però non sono in grado di sviluppare e apprendere capacità di giudizio nel gestire spedizioni e quindi gli imballaggi di alcuni oggetti.
Imbustare una maglietta risulta semplice per un essere umano ma difficile per un robot. Il secondo infatti rischia di romperla o sgualcirla perché “ad occhio” non è in grado di soppesarne l’oggetto e quindi calibrare la giusta potenza nella presa.
Se caliamo il ragionamento nel field marketing, risulta allora lontano il giorno in cui piccoli robot caricheranno a scaffale prodotti e implementeranno materiali PoP sul punto vendita. A maggior ragione se parliamo di merchandiser focalizzati su diverse tipologie di prodotti, con pesi e misure diverse. E poi, che fine farebbe quel bagaglio di esperienza che molti professionisti di settore hanno sviluppato negli anni nella disposizione del prodotto e dei materiali?
Ci viene da dire che anche in questo caso, il robot non può prendere il posto di una figura field come il merchandiser.
Forse un giorno Sophia sarà in tutti i nostri negozi e comprenderà le nostre esigenze, ma per ora uno scenario simile esiste solo in Futurama.